Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 125/2024, l’Italia ha recepito la direttiva europea Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), introducendo di fatto l’obbligo di Bilancio di sostenibilità per le imprese. La normativa mira a trasformare la rendicontazione non finanziaria in uno strumento strategico per monitorare e comunicare l’impatto ambientale, sociale e di governance (ESG), coinvolgendo progressivamente le grandi aziende e, indirettamente, le PMI.
Cos’è la Direttiva CSRD
La Direttiva CSRD è stata emanata dall’Unione Europea nell’ambito del Green Deal a dicembre 2022 per regolamentare la comunicazione delle informazioni non finanziarie da parte di alcune organizzazioni, rendendo obbligatoria dall’esercizio 2024 la rendicontazione societaria di sostenibilità per tutte le aziende dell’UE con più di 250 dipendenti, un fatturato superiore ai 20 milioni di euro e un bilancio annuo di almeno 40 milioni di euro. In altre parole, con la sua entrata in vigore molte imprese sono obbligate a redigere l’annuale bilancio di sostenibilità. Per rendere la rendicontazione uniforme, la direttiva è stata inoltre sostenuta dagli ESRS, European Sustainability Reporting Standards, un insieme di standard di rendicontazione introdotti a febbraio scorso per supportare le imprese nella comunicazione e nella gestione delle loro prestazioni di sostenibilità, facilitando al contempo un migliore accesso ai finanziamenti.
Gli obblighi di rendicontazione e le scadenze
In Italia il percorso di adeguamento alla direttiva sarà graduale, così come stabilito dal Decreto Legislativo 125/2024. Dal 2024, le imprese con oltre 500 dipendenti già soggette alla Dichiarazione non Finanziaria saranno le prime a presentare il Bilancio di sostenibilità. Dal 2025, sarà il turno delle aziende con almeno 250 dipendenti o con determinati parametri finanziari (50 milioni di fatturato o 25 milioni di attivo). Successivamente, nel 2026, toccherà alle PMI quotate e agli enti creditizi minori, mentre entro il 2028 l’obbligo si estenderà anche alle filiali di grandi aziende extra-UE con ricavi significativi nel mercato europeo. Le imprese dovranno fornire informazioni dettagliate sulla resilienza strategica rispetto ai rischi ESG, sull’allineamento delle strategie aziendali agli obiettivi climatici dell’UE e sugli impatti lungo la catena del valore. La normativa introduce anche il principio di doppia materialità, considerando sia l’impatto delle attività aziendali sull’ambiente e sulla società sia l’influenza dei fattori ESG sulle performance aziendali.
Sanzioni e controlli
Nei primi due anni, le sanzioni saranno contenute, con un massimo di 125.000 euro per le società di revisione e fino a 50.000 euro per i revisori della sostenibilità. Successivamente, la Consob definirà criteri più stringenti per garantire la conformità, in attesa delle linee guida definitive della Commissione Europea.
Opportunità e rischi della normativa
La transizione comporta sfide significative, tra cui l’aumento del carico amministrativo, costi di conformità elevati e rischi reputazionali in caso di inesattezze nella rendicontazione. Tuttavia, le opportunità offerte sono rilevanti: una rendicontazione trasparente rafforza la reputazione aziendale, migliora i rapporti con gli stakeholder e facilita l’accesso ai mercati finanziari. Inoltre, il monitoraggio continuo dei KPI ESG aiuta a gestire in modo proattivo i rischi aziendali e a ottimizzare le prestazioni.
Come prepararsi alla transizione
Le imprese devono prepararsi in modo strategico, investendo in formazione interna, adottando strumenti di gestione dei dati ESG e consultando esperti per una pianificazione accurata e che comprenda:
Analisi energetica, con la valutazione dei consumi e l’individuazione delle aree di spreco; Progettazione e realizzazione di interventi di efficientamento, dall’illuminazione agli impianti di climatizzazione, fino all’installazione di sistemi di generazione di energia rinnovabile;
Monitoraggio dei risultati, con verifica costante dei risparmi energetici ottenuti.
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Antonio Ciccarelli
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